sabato 17 aprile 2010

Affari internazionali: Cina, India ed altri

2011, Cina, India e altri nello sviluppo senza fine

I veri primi vincitori nello scontro della guerra politico-economico-militare fra il potentato capitalistico a guida anglosassone ed il potentato pseudo-comunista a guida russo-sovietica sono in realtà alcuni, ma il primo è un paese condotto da un partito conservatore che ha portate la popolazione e l'economia dai 50 milioni di morti per inedia degli anni cinquanta all'attuale prima potenza economica del pianeta: la Cina.
Questo grande paese la cui guida è saldamente in mano al partito comunista cinese è difatto divenuto anche una potenza globale dal punto di vista militare ed esprime anche una costante penetrazione culturale in tutti i paesi del vecchio e nuovo mondo. Si è cominciato con i ristoranti, il circo, il kung-fu e il cinema fantastico per passare alle produzioni a nero o sottocosto e all'acquisto degli immobili di interi quartieri ed agli investimenti diretti in Asia, Africa, Europa ed Americhe.
Questi dati di fatto – aldilà delle polemiche sulla correttezza delle statistiche ufficiali –  portano a considerare la vera portata dei cambiamenti indotti dalla “globalizzazione” nelle prospettive di crescita e di sviluppo dell'economia dei paesi ex industrializzati, ormai ridotti al ruolo di consumatori di lignaggio, come i “nobili decadenti” dopo la rivoluzione industriale che si sono trovati ad avere masse di denaro da spendere per acquistare beni e servizi nella truffaldina illusione di poter ricostituire le scorte a spese dei fornitori.
Senza nulla togliere alla capacità ed abilità dei dirigenti cinesi che hanno saputo applicare il principio giapponese del “Ju” alla lotta economica ed offrendo collaborazione a basso costo, il processo di trasferimento di tecniche produttive di varia importanza e complessità è stato avviato dai soliti noti proprietari e dirigenti di aziende multinazionali in cerca di facili guadagni: far produrre prodotti tangibili e prodotto logico secondo la tecnica considerata “di proprietà” a basso prezzo e rivenderli a prezzi correnti a casa propria e a casa di altri facenti parte del potentato a vario titolo.
Risultato: in molti si sono lanciati sull' “affare” hanno deindustrializzato il paese di provenienza, trasferiti gli impianti e le tecniche di produzione sorte progressivamente sfruttando le potenzialità offerte dal proprio sistema-paese, tolte prospettive di lavoro ai propri concittadini, depauperata la nazione della capacità di vendere prodotto all'estero e fatto pendere il saldo della bilancia dei pagamenti in favore di altri, pur meritevoli e di antica civiltà.
E ora? Ora niente; c'è da reinventare prodotti e tecniche produttive. Ma è dura, molto dura. Per arrivare nuovamente a ciò che si è dato via ci vogliono idee geniali e secoli di sviluppo per arrivare a soddisfare bisogni in larga parte già soddisfatti anche se a caro prezzo.
Anzi è evidente che ciò in cui si è investito da parte dei governi di molti paesi e nei consigli d'amministrazione di tutte le multi e trans nazionali - lo sviluppo senza fine - incontra i propri limiti spaziali, temporali e di risorse che sul globo terracqueo di mezzo miliardo di chilometri quadrati sono limitate e non infinite.
Tornare indietro non si può e non sarebbe neanche giusto nei confronti di grandi paesi di antica civiltà che stanno migliorando le loro condizioni generali di vita. Morale: bisogna cambiare stili di vita, consumi, modalità di consumo e gestione delle risorse. Compito tutt'altro che facile per tutti i governanti e parlamentari che sono entrati in politica per imporre con la forza di leggi scritte e tacite agli altri cosa, dove, come, quando e perchè fare.

Ercole Ysos

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